Genesi del Borgo di Navelli

 

Navelli è un borgo di pendice, si estende sul versante sud–ovest del Monte San Nicola nella provincia aquilana. Per poter comprendere la formazione e la susseguente espansione nel corso dei secoli del borgo, non possiamo prescindere da discipline quali la litologia, la pedologia, l’idrografia e climatologia che nell’insieme costituiscono le caratteristiche del territorio, tali discipline ci permettono di giustificare la scelta del sito di fondazione, la viabilità e le forme economiche. Alla luce di quanto detto non possiamo soffermarci sul solo borgo di Navelli ma dobbiamo estendere la visione a tutto l’Altopiano. L’uomo diventa stanziale con l’avvento dell’agricoltura nel neolitico. A questo periodo risalgono le prime forme insediative giunte fino ai giorni nostri. Gli abitati, costituiti da capanne a forma circolare e con struttura in legno e coperte da frasche, si estendevano a ridosso dei campi coltivati. Tracce di un abitato di questo periodo è situato nel comune di Prata D’Ansidonia in località Settefonti a pochi chilometri da Navelli. Le popolazioni del periodo usavano sfruttare come ripari le cavità naturali sulle alture, numerose nell’altopiano per la natura carsica del territorio. Nel periodo italico (a partire dal VI sec. A. C.) queste terre erano occupate dai Vestini. Il territorio era suddiviso in ambiti territoriali di modeste dimensioni detti pagi, ognuno dei quali governato da un clan. I clan erano autosufficienti e le relazioni con quelli contigui erano dovute a piccoli commerci e a garantire la sicurezza del territorio. I pagi si componevano di: un oppido o castellire, che era un recinto fortificato di altura sfruttato dalla popolazione come riparo in caso di pericolo; un vico, che era un piccolo insediamento di pianura costruito a ridosso dei campi coltivati; una necropoli, che poteva trovarsi o nella piana o al di fuori del recinto fortificato; e a volte vi era una postazione di avvistamento. I collegamenti tra i vici e gli oppido erano garantiti da percorsi di versante. Tali forme insediative e di governo, sono rimaste inalterate fino all’avvento dei romani (III sec. a.C.). Nel territorio comunale di Navelli ricadono tre pagi che denomineremo di Monte Castellone, di Monte Castellina e di Serra di Navelli. Il pago di Monte Castellone si estende ad occidente rispetto all’abitato di Civitaretenga. Esso è costituito dai seguenti elementi: L’oppido di Monte Castellone. Sorge sull’omonimo monte, ad una quota di 944 m.s.l.m.. Tale monte si eleva tra il Piano di Aseno e l’Altopiano di Civitaretenga. La sommità è appiattita, oblunga e resa irregolare da banchi di rocce e sterpaglie. Il recinto corre per buona parte su di una quota attorno ai 900m.. In alcuni tratti lo spessore delle mura è di due metri. A meridione uno sdoppiamento della cortina muraria segna l’ingresso al recinto. L’area racchiusa è di circa 21800 mq.; Il vico di Santa Maria delle Grazie. La presenza di questo abitato non è certa poiché il sito non ha restituito resti dell’insediamento, tanto meno reperti archeologici. La presenza di un abitato sull’area circostante la Chiesa di Santa Maria delle Grazie è avvalorata da due motivi: il legame tra un vico e un oppido nell’organizzazione paganica e per la continuità abitativa dei siti, data la presenza in questo sito di un abitato romano. Il pago di Monte Castellina è composto da: L’oppida di Monte Castellina. Questo sito si trova sul colle dinanzi l’abitato di Navelli, da esso si domina la Valle dell’Aterno ed una porzione dell’altopiano di Navelli; Il vico di Santa Maria in Cerule. Sorgeva sull’area occupata attualmente dal cimitero. Questo sito è importante perché conserverà nella storia la sua natura abitativa. Il pago di Serra di Navelli si estende ad oriente rispetto l’abitato di Navelli ed è composto da: L’oppida di Serra di Navelli. Sorge su di un’altura che delimita l’altopiano a nord - est. E’ un ottimo punto di osservazione, infatti da esso si dominano la Valle Tritana e l’Altopiano di Navelli. Il profilo del colle è arrotondato, privo di vegetazione arborea. L’assenza di insediamenti posteriori ha permesso che le vestigia del recinto vestino siano giunti fino ai giorni nostri. La cinta muraria corre attorno alla quota massima, presenta una interruzione di circa tre metri dal quale partono due appendici sul pendio che ne segnano l’ingresso. La superficie interna del recinto è di 6500 mq; Il vico di Santa Maria Piedivico. Il sito si trova ai piedi di Serra di Navelli, da esso sono venuti alla luce elementi in ceramica di epoca italica; La postazione di avvistamento di Monte Asprino che si erge dirimpetto il colle della Serra di Navelli. Le due emergenze sono divise dalla Valle di Jena. Doveva essere una postazione di avvistamento poiché nel terreno sono presenti dei fori sulla roccia dove venivano conficcate delle palificazioni in legno. La caduta di Amiternum (273 a.C.) segna l’inizio della dominazione romana nell’Italia Centrale. Con l’avvento dei romani, pur rimanendo inalterati i costumi dei popoli italici, subisce un notevole cambiamento l’assetto territoriale. La presenza di uno stato centrale garantiva un maggior grado di sicurezza per la popolazione tanto che veniva meno l’uso dei centri di altura. Tale circostanza comportò lo sviluppo dei vici di pianura. Le fonti di reddito per la popolazione erano le stesse e precisamente l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. A questo periodo risale l’organizzazione del terreno agrario nella piana che si è tramandato fino ai giorni nostri. Il terreno a seminativo si presentava in strisce strette e lunghe, che partono dai piedi dei rilievi fino al centro dell’altopiano. Ogni striscia era assegnata ad un nucleo familiare che ne ricavava i prodotti per la propria sussistenza e commercializzava le parti in eccesso. La frammentazione della proprietà ha garantito che nel corso dei secoli non si sia affermata in queste zone il latifondismo. Al termine della Guerra Sociale (I sec. a.C.) la riorganizzazione territoriale ad opera dei romani si è manifestata con l’istituzione delle Prefetture. Queste erano città all’interno delle quali si trovavano pubblici servizi, svaghi, attività commerciali, ed erano centri di riferimento per un determinato comprensorio. Le Prefetture erano governate da Pretori eletti direttamente a Roma, circostanza che dimostra l’importanza che Roma dava a questi centri per il controllo del territorio. Il centro guida per questa zona era Peltuinum che si trova nel comune di Prata D’Ansidonia. Altro fattore che ha concorso alla riorganizzazione territoriale è rappresentato dalla costruzione delle viae pubblicae, percorsi che collegavano le prefetture. Questi percorsi hanno costituito la viabilità principale per la piana di Navelli fino alla metà del 1800. Le tracce di questi percorsi sono conservate nei tratturi. L’altopiano di Navelli era solcato dalla Claudia Nova, che collegava altre due vie consolari la Caecilia e la Claudia Valeria. La sua costruzione terminò nel 47 d.C. Il suo tracciato parte da Amiternum, risale la Valle del fiume Aterno fino ad Aveja, nella Piana di Fossa, per risalire verso Peltuinum. A valle dell’abitato di Caporciano, ove oggi troviamo la chiesa di Santa Maria di Centurelli, la Claudia Nova si biforcava. Un ramo passando dietro l’abitato di Civitaretenga raggiunge la Piana di Capestrano, da qui Aufinum (Ofena) e prosegue verso Pinna, l’odierna Penne in Provincia di Pescara. L’altro ramo, detta via Numicia, prosegue sul piano di Navelli in direzione della Valle Peligna, raggiunta attraverso le Gole di Popoli. I centri che venivano attraversati o lambiti dalla nuova viabilità subivano un certo sviluppo, tra questi annoveriamo Cingilia e Incerule, lambite dalla Numicia e ricadenti nel territorio comunale di Navelli. L’abitato di Cingilia doveva estendersi ai piedi di Civitaretenga sui terreni circostanti la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Su quest’area non sono mai stati ritrovati resti di abitazioni o materiale archeologico. Sulla scorta di un passo di Livio possiamo collocarla in questo sito. Incerule si estendeva sull’area attualmente occupata dal Cimitero di Navelli. Il sito in questione ci ha restituito numerosi reperti archeologici quali resti di colonne e trabeazioni e lapidi di vario genere. L’epigrafe su di una lapide, risalente al III sec. a.C., e conservata nel Museo Archeologico di Napoli, ci porta a conoscenza che nel centro vi era un tempio dedicato a Hercules Jovius. L’attuale chiesa di Santa Maria in Cerulis è stata edificata sfruttando la zoccolatura del tempio romano. La presenza di un tempio dedicato ad Ercole, protettore dei pastori, ci fa comprendere il ruolo primario della pastorizia nell’economia delle genti di questo territorio. Una seconda lapide, trovata in questo sito, e conservata nel Museo Archeologico di Chieti, ci conferma il nome del centro. L’epigrafe riporta: Commun Incerula norun servo iuve nes Taresun p(osverunt). In essa troviamo gli onori ad un flautista da parte della comunità di Incerule. L’assetto appena descritto, nel territorio comunale di Navelli, costituito dai due centri di Cingilia e Incerule si conserverà fino alla caduta dell’Impero romano. Da ricordare sono le riorganizzazioni dell'Impero ad opera di Augusto e di Diocleziano perché avranno risvolti su queste terre nei periodi successivi. Nella riorganizzazione augustea l'Abruzzo venne collocato nella IV Regione detta Sabina et Samnium; in quella di Diocleziano l'Italia divenne provincia romana e l'area sabellica inserita nella Campania et Samnium. Con il saccheggio di Roma da parte dei Visigoti inizia a vacillare l'impero. Le scorribande dei barbari rendevano le città insicure, così che gli abitanti rioccuparono i siti in altura. L’allontanamento dai centri di pianura ha comportato l’abbandono dei campi coltivati, ripercotendosi sull’economia della piana perché veniva a mancare la principale fonte di reddito. Nel 591 l'Italia centrale venne conquistata dai Longobardi ad opera di Ariulfo. L'Abruzzo venne diviso in due parti, la zona occupata dai Marsi, Equi, Vestini, Peligni venne inglobata nel Ducato di Spoleto la restante nel Ducato di Benevento. Segni della dominazione longobarda si hanno nei nomi di alcuni luoghi, come ad esempio di Civitaretenga che è una degenerazione di Civita di Ardenga. La conversione al cattolicesimo dei Longobardi, nel 680, permise la diffusione sul territorio delle Comunità monastiche. L'Abruzzo era cinto da monasteri che segnarono la storia dell'Italia Centrale quali quelli di Farfa, Subiaco, Montecassino, Fossanova e San Vincenzo al Volturno. La colonizzazione delle comunità monastiche è avvenuta con la costruzione di masserie le quali avevano la funzione di rilanciare l’agricoltura, in forte crisi dopo la caduta dell’impero romano. Le comunità che operarono nella nostra Regione furono quelle farfense, cassinese e vulturnense. Nel VI-VII sec. abbiamo la costruzione di chiese di campagna che hanno ricoperto una ruolo fondamentale per l’affermazione del potere monastico sul territorio. In epoca carolingia, VII-X sec., sono stati edificati i monasteri di San Benedetto in Perillis, sotto l’influenza dei Vulturnesi e quello di San Pellegrino a Bominaco sotto le dipendenze della comunità farfense. I monasteri erano dei distaccamenti delle case madri e avevano la funzione di amministrare le proprietà localmente. Il punto di contatto diretto con il popolo era garantito dalle chiese di campagna che iniziarono a ricoprire un ruolo fondamentale nell’affermazione del potere ecclesiastico. La chiesa con la sua diffusione capillare sul territorio era diventata l’industria più importante del tempo, l’accentramento del potere economico nelle sue mani ha portato alla sottrazione di autorità ai signori e principi locali ai quali era demandato l’onere di garantire sicurezza. Attorno alle chiese di campagna si sono formati dei piccoli insediamenti, dove si trasferirono le famiglie di contadini che prestavano la loro opera nei campi. Si torna quindi ad una distribuzione diffusa di centri, situazione che ci fa supporre un buon grado di sicurezza per la collettività. Il monastero di San Benedetto in Perillis amministrava il territorio attualmente sotto la giurisdizione del Comune di Navelli. Ogni chiesa doveva corrispondere delle rendite al monastero oltre a consegnare i doni della comunità. Le rendite e i doni venivano riportate in dei registri detti Chronicon. Dal Chronicon Volturnense possiamo ricostruire la mappa delle chiese ricadenti nel territorio comunale di Navelli. La prima menzione nel Chronicon Vulturnense si è avuta nel 787 quando vengono citate le Chiese di Cerule e Lapide Vico coincidenti con Santa Maria in Cerule e Santa Maria Pedevico, ai piedi di Serra di Navelli. Nel 816 sempre dal Chronicon Vulturnense attingiamo di donazioni delle genti di Incerule al Monastero di San Vincenzo al Volturno. In questo documento si parla anche di proprietà del Monastero nel territorio di Turri, località presente nell’ambito territoriale del Comune di Navelli. I secoli VIII–X sono contrassegnati, a scala nazionale, dalla litigiosità tra i feudatari, che avevano quale unico intento quello di accrescere le loro proprietà e di conseguenza il loro potere. L’instabilità prodotta da questa situazione ha portato ad un indebolimento generale e all’abbandono delle frontiere, permettendo così ai popoli d’Oltralpe di entrare in Italia senza grosse resistenze. L’ingresso dei nuovi occupanti ha portato guerre e saccheggi tanto che le popolazioni, per difendersi, sono state costrette ad armarsi e unirsi. La militarizzazione dilagante ha portato le autorità ad affermarsi mediante la forza, infatti i signori del tempo e i Vescovi, si sono circondati di cavalieri in armi per garantire la loro sicurezza e mostrarsi forti agli occhi del popolo. Dalla militarizzazione delle genti si passa a quella del territorio con il fenomeno dell’incastellamento. Questa fase è difficile da descrivere a causa dell’assenza quasi assoluta di fonti documentarie. Navelli viene citato come castello in una bolla datata 1092 del Monastero di San Benedetto in Perillis ed in essa vengono elencate le proprietà del Monastero in quel territorio: due colture, una a Stipibus e l'altra una vigna in località Venatura; metà chiesa di San Angelo; San Eugenia in località Turri; metà chiesa di Santa Maria in Piedivivo; San Savino e sue pertinenze. La fondazione del Castello è antecedente al X sec. ed essa segue una certa dinamica. Nell’Altopiano di Navelli la costituzione di un castello veniva realizzata attraverso l’accordo di alcune comunità che decidevano di trasferirsi all’interno di un'unica “villa” che rispondesse ad alcune esigenze quali, la difendibilità, l’approvvigionamento alimentare, il rapporto con le vie di comunicazione e non ultimo l‘esposizione del sito. Nel caso di Navelli il sito prescelto è stato quello di Piceggia Grande, si collocava sul sito oggi occupato dal Palazzo Baronale e dalla chiesa di San Sebastiano. La scelta di questa villa non è casuale per diverse ragioni. Il sito assolveva perfettamente al requisito della difendibilità dell’abitato poiché la villa si estendeva in altura, ed era raggiungibile mediante un percorso di versante che seguiva la retta di massima pendenza del monte San Nicola, circostanza questa che non rendeva per nulla agibile la salita da parte di un assalitore. Inoltre era garantito l’approvvigionamento idrico, circostanza basilare in un territorio povero di acqua superficiale. Sull’Altopiano di Navelli in una quota compresa tra i 700 e gli 800 m.s.l.m. si hanno delle falde freatiche. Questa caratteristica è legata alla natura del territorio ed è il motivo per il quale quasi tutti i centri dell’altopiano sorgono tra queste quote. Essendo l’altopiano soggetto a fenomeni di natura carsica il territorio è caratterizzato da doline, depressioni nel terreno e da grotte. Tali manifestazioni si hanno per l’effetto dilagante delle acque meteoriche sui calcari. Il terreno è percolabile avendo uno spessore limitato dovuto alla natura calcarea, tant’è che l’acqua assorbita s’incanala tra gli strati del gruppo litologico locale. Il contatto tra le coltri impermeabili di materia e l’acqua d’infiltrazione danno origine alle falde freatiche. Questa circostanza si verifica in prossimità dei rilievi che delimitano l’altopiano. Essendo un borgo di altura da esso si riusciva a governare le vie di comunicazione. Sulla scelta di Piceggia Grande probabilmente oltre a quanto precedente detto avrà influito anche un maggior peso politico che poteva avere. Le emergenze architettoniche del borgo originario erano rappresentate dalla chiesa di San Pelino, protettore del centro, che si estendeva sotto una porzione dell’attuale chiesa di San Sebastiano, e dalla porta di San Pelino che si è conservata fino ai giorni nostri. Alla fondazione di Navelli hanno concorso determinate ville. Ognuna di queste aveva una chiesa al suo interno. I nomi delle chiese possiamo dedurli dai Chronicon delle comunità monastiche che operavano sul territorio, tant’è che in quello Volturnense sono riportate: San Savino, attorno alla quale si è sviluppato Villa del Plano; San Pelino, appartenente a Villa di Piceggia (Piaggia) Grande; Santa Maria in Cerulis, arcipretale nella Villa omonima; San Angelo, Prepositura nella Villa omonima; Santa Maria di Lapide Vico, che dovrebbe essere la chiesa di Santa Maria di Piedevico. Le altre chiese presenti sul territorio ricadevano sotto la giurisdizione di altri monasteri, e sono: San Girolamo nella Villa di Piceggia Piccola; Una chiesa della quale non conosciamo il nome in Villa Pagani; San Salvatore in Villa del Colle; Santa Lucia in Villa omonima. Dall’analisi del territorio e dalla conoscenza delle ville che hanno concorso alla fondazione di Navelli passiamo ad esaminare l’evoluzione urbana del borgo dalla fondazione ai giorni nostri. Per far ciò ci avvaliamo della lettura dell’impianto urbano e dall’esame dei tipi edilizi che formano il tessuto urbano dell’abitato. Navelli inizia a prendere forma nell’XI sec. con l’espansione di Piceggia Grande. Il borgo si espande sul versante occidentale del Monte San Nicola, sulla direttrice sud–est, poiché questo è il versante meglio esposto alla radiazione e il più riparato dai venti. L’abitato era cinto di mura sulle quali si aprivano due porte, una era la Porta di San Pelino ed una seconda si trovava sul versante occidentale. Porta San Pelino chiudeva la viabilità principale di accesso al borgo dalla piana, che correva lungo la retta di massima pendenza del Monte San Nicola, mentre la porta ad occidente doveva chiudere un percorso a mezza costa proveniente da Civitaretenga. Il borgo tra l’XI e il XV sec. si estendeva: dal Palazzo Baronale a via San Pasquale sulla direttrice sud–est e sempre da via San Pasquale e via Macello sulla direttrice sud-ovest/nord-est. L’impianto urbano era caratterizzato da case a schiera, che denomineremo parallele alle curve di livello poiché costruite su percorsi che corrono per lo più paralleli alle curve di livello. La viabilità era a pettine. I corpi di fabbrica erano a uno o due livelli, caratterizzati da una cellula base di matrice quasi quadrata delle dimensioni di 4/4,5 metri. L’unità immobiliare ad un sol livello poteva avere diverse funzioni, da bottega, stalla o abitazione. Per quella a due livelli possiamo individuare due sotto tipi: con scala interna o con scala esterna. La schiera con scala interna era adibita a sola abitazione che presentava piano giorno al primo livello e piano notte al secondo. Il sotto tipo con scala esterna aveva al piano terra la stalla o la bottega mentre al primo livello l’abitazione. Probabilmente nel centro dovevano trovarsi anche delle case a tre livelli dove l’ultimo piano era usato come pagliaio. La chiesa del borgo era San Pelino. Questo assetto permane fino al terremoto del 1456. Il periodo in esame sul piano politico è segnato dalla nascita del Comitatus Aquilano, istituzione che dopo la dominazione romana reinstaura un potere di tipo centralistico. L’Aquila era stata voluta dal potere imperiale per controllare il mercato della pastorizia e dei suoi derivati che rappresentava la fonte di reddito più importante. Ad ogni castello fondatore era assegnato un locale dentro la città nel quale dovevano trasferirsi gli autoctoni. Il locale di Navelli si trova nel Quarto di Santa Maria Paganica. Navelli fu assediata dalle truppe di Fortebraccio da Montone per mandato della città di L’Aquila, perché la popolazione navellate non voleva trasferirsi nella nuova città. La fondazione de L’Aquila ha comportato una forte crescita economica per tutto il Comitatus Aquilano. La commercializzazione degli armenti e dei loro derivati uniti con quello dello zafferano, tipica produzione di Navelli, hanno fatto confluire ingenti capitali in questi luoghi. I commerci erano favoriti dalla presenza del tratturo che è stata la via di comunicazione principe fino all’unità d’Italia. Il territorio di Navelli è attraversato dal Tratturo Magno che da L’Aquila giunge fino a Foggia e dal tratturo che parte da Santa Maria di Centurelli fino a Montesecco. Quest’ultimo ricalcava il tracciato della Numicia. I tratturi non rappresentavano solo una fonte di ricchezza per i centri attraversarti o lambiti, ma costituivano anche un veicolo culturale, infatti in questi luoghi sono giunte maestranze da altre regioni, portatori di nuove esperienze, di nuovi stili che, integrandosi con quello locale, ci hanno consegnato dei capolavori in architettura, in scultura o in pittura che arricchiscono i nostri centri storici. A seguito di due eventi, uno politico e l’altro naturale, si hanno delle ripercussioni sull’evoluzione urbana del borgo. L’evento politico è rappresentato dall’approvazione di un decreto legislativo avvenuto nel 1447, ad opera di Alfonso l’Aragonese. In esso si imponeva a tutti coloro che possedevano più di venti capi di transumare verso il Tavoliere Pugliese, l’entrata in vigore del decreto privava i centri montani della forza lavoro durante tutto il periodo invernale. Tale situazione ha avuto dei riflessi sulle modalità di vita dei borghi, perché per gran parte dell’anno erano abitati da donne, vecchi e bambini. In tale contesto le donne hanno avuto un ruolo importante sia nella conduzione della famiglia, assumendo il ruolo di capo famiglia, che sul lato economico grazie allo sviluppo del lavoro artigianale, infatti prodotti di vario genere venivano confezionati e poi commercializzati. L’evento naturale è stato il terremoto del 4-5 dicembre 1456, uno dei più disastrosi che si ricordino, dato che numerosi centri sorti durante il periodo dell'incastellamento sono stati rasi al suolo e mai più ricostruiti. Forse a questo evento tellurico possiamo far risalire la scomparsa del Castello di Turri e Rocca di Riesi. A seguito dell’evento tellurico vi è stato un notevole flusso migratorio dai centri minori verso quelli maggiori o da quelli andati distrutti verso i centri che avevano subito minor danni. A questo riguardo abbiamo notizie degli abitanti del Castello di Turri che sono confluiti nei Castelli di Navelli e Rocca Preturo. Con la ricostruzione il borgo è uscito fuori dal vecchio tracciato murario, le mura sono state ricostruite più a valle, ma l’introduzione del tipo edilizio di casa ad arco possiamo considerarla il fatto più rappresentativo del periodo. L’immissione di questo tipo edilizio ha modificato radicalmente l’assetto urbano del borgo infatti lo ha reso più denso, ha migliorato i collegamenti tra i percorsi paralleli alle curve di livello che costituivano degli elementi di contrasto dal punto di vista strutturale, inoltre gli spazi coperti costituivano delle postazioni di lavoro esterne per la popolazione nel periodo invernale. Le case ad arco non erano singole unità immobiliari ma costituivano elemento di raccordo tra due schiere o costituiva un vano aggiuntivo ad una schiera. La ricostruzione ha comportato l’immissione anche delle case a schiera ortogonali alle curve di livello, cioè unità immobiliari che si sviluppano in altezza costruite dove la pendenza del terreno è notevole. Queste unità immobiliari le troviamo lungo via San Pasquale. Sempre in questo periodo veniva edificata la parte orientale al di là di via Macello, versante mal esposto e disagevole per edificarvi dato il dislivello che si può rilevare. Le altre opere che hanno segnato l’impianto urbano sono state: La costruzione della chiesa di San Sebastiano sulle vestigia di San Pelino, di impianto medioevale pur presentando decorazione barocca; Lo spostamento del tracciato delle mura, infatti queste vengono ricostruite più a valle sulla direttrice sud-est ed a oriente di via Macello. Sul tracciato murario si aprivano tre ingressi al borgo: Porta Santa Maria ad occidente, Porta Macello a sud-est e Porta Villotta ad oriente; quest'ultima annessa al palazzo Onofri. Nel 1498 venne stipulato un contratto di compra-vendita al di fuori di Porta Santa Maria, citazione che ci permette di asserire che a quella data il borgo era cinto da mura; La ricucitura lungo via Macello dei versanti occidentale e orientale mediante delle case ad arco rendendo questo percorso semi coperto. Via Macello, che era il vecchio tracciato di ingresso a Piaggia Grande prima e al borgo del XII sec. poi, diventa l’asse portante del borgo a partire dal XV sec. essendo il percorso principale; La costruzione del Palazzo baronale. Questo è l’unico intervento di edilizia palazziale nel centro in questo periodo. Sul pozzo all’interno del cortile del palazzo troviamo incisa la data del 1632, probabilmente la data di fine dei lavori di costruzione. Considerando la mole della costruzione e alcune scelte architettoniche pensiamo che questo intervento sia stato progettato, infatti: la mole della costruzione è estranea alle altre unità immobiliari presenti nel borgo, il palazzo è stato costruito a chiusura del percorso principale e inoltre l’edificio si pone obliquamente rispetto a tale percorso; I simboli racchiusi dal sito di costruzione; Il sito corrisponde con quello di Piaggia Grande, borgo dal quale ha preso origine Navelli, è il punto più alto del centro sempre all’appannaggio delle personalità più in vista, più potenti ed infine dalla contrapposizione con il potere ecclesiastico che si imponeva per la presenza della chiesa di San Sebastiano. Non a caso detto edificio era la dimora dei feudatari del castello. L’impianto urbano così come descritto rimane inalterato fino al terremoto del 1703. Il sisma del 1703 è stato catastrofico per L’Aquila e il suo contado. Le vittime furono numerose ed i danni ingenti. La prima scossa violenta si è avuta il 14 Gennaio alle 2.00. Dalle cronache dell’epoca si trae che alcuni centri del contado sul versante occidentale sono stati completamente distrutti e la città di L’Aquila fortemente colpita. Dopo numerose scosse di assestamento, il 2 Febbraio alle ore 18.00 si è avuta la scossa di maggiore intensità che, finì di distruggere e danneggiare quanto si era salvato dalle precedenti. La Corona del Regno Borbonico ha inviato il “Vicario Generale per i Terremoti” nella persona del Marchese Della Rocca Marco Garofalo e il Generale Ura Lanos con il compito di rilevare e riferire sui danni. Sono giunte a noi due relazioni sui danni provocati dall’evento tellurico, esse per lo più coincidono ma entrambe sono importanti perché ci permettono di avere un quadro completo sia sui centri colpiti che il loro numero e nome. Nella prima relazione si riporta che i paesi distrutti sono tutti quelli del versante occidentale del contado, mentre su quello orientale l’ultima villa rasa al suolo è stata Castelnuovo. Nella relazione di Ura Lanos si ha la conferma che i maggiori danni si hanno nel versante occidentale ma a completamento sono elencate tutte le ville distrutte che in totale sono 36. Tra i centri distrutti non compare Navelli, ma dato che Castelnuovo dista circa 10 Km., borgo annoverato tra quelli rasi al suolo, possiamo supporre che anche in questa villa i danni sono stati notevoli. Il periodo post-terremoto è caratterizzato da una stagnazione sia economica che demografica che investe l’intero contado aquilano e che avrà i suoi risvolti anche sul Regno Borbonico essendo queste terre le più importanti economicamente. Per incentivare la ricostruzione delle città e, per far ripartire quel volano economico rappresentato dalla pastorizia che aveva reso ricca questa terra, il Marchese Della Rocca Marco Garofalo è riuscito ad ottenere dal Vicerè di Napoli l’esenzione dai pagamenti ordinari e straordinari da parte delle popolazioni colpite, per un periodo stimato in funzione dei danni riportati dall’abitato. Lo stato di terra disagiata per il contado aquilano, comportò l’afflusso di numerosi costruttori, soprattutto milanesi e napoletani, che si sono stabiliti in città per usufruire delle numerose opportunità di lavoro createsi con la ricostruzione. Un'altra considerazione va fatta sul fenomeno migratorio. Le famiglie, che avevano visto la loro abitazione distrutta all’interno del locale in città, tornarono nei luoghi di origine, a differenza dei nuclei familiari emergenti legati alle pastorizia, che, potendo usufruire di capitali da investire, acquistarono siti e case dirute nella città di L’Aquila per edificarvi le loro residenze. Queste famiglie non trascuravano gli investimenti nei loro luoghi d’origine dove a buon mercato hanno acquistato delle case dirute. L’opere di ricostruzione si sono protratte per circa trenta anni, ed apportarono cambiamenti sostanziali all’impianto urbano dei centri. L’impianto urbano di Navelli ha subito delle modifiche importanti quali: la fuoriuscita della città dalle mura, l’inserimento del tipo edilizio casa muro e la costruzione di palazzetti nella parte più antica. La funzione difensiva delle mura era venuta meno in questo periodo per l’affermazione degli stati nazionali. Le prime costruzioni fuori le mura si presentavano come piccoli agglomerati compatti di forma allungata. Si sviluppavano sulle vie di accesso al borgo in prossimità delle porte. Per Navelli gli agglomerati sono tre, uno al di fuori di ogni porta. Il segno che contraddistinguerà la ricostruzione post-terremoto è la variazione d’uso delle mura che, da baluardo difensivo, divengono delle strutture sulle quali appoggiarsi per la costruzione di abitazioni. L’introduzione del tipo edilizio denominato casa muro conferisce un nuovo aspetto al borgo, infatti il tipo edilizio è stato fondamentale per l’inserimento dei palazzetti nella parte più antica. I resti delle mura hanno costituito un’ottima base di appoggio per le nuove costruzioni. La cellula base delle case muro è di forma rettangolare con dimensioni di circa 4-4,5 m. per lato. Lo spessore delle mura alla base era di circa 1.00–1.20 m. permettendo l’appoggio di costruzioni di 3–4 livelli. L’inserimento dei palazzetti nel tessuto urbano di Navelli, è avvenuto nell’isolato compreso tra la strada che costeggia il tracciato delle mura e Via San Pasquale. Questo isolato dal punto di vista della trasformazione urbanistica è il più importante per il centro perché ha risentito di tutte le variazioni. Infatti, il paramento murario a monte dell’isolato, che costeggia via San Pasquale, costituisce il primo tracciato delle mura cittadine fino al terremoto del 1456. La ricostruzione dopo il sisma del 1456 ha comportato lo spostamento delle mura più a valle, lungo il tracciato delle attuali, e la costruzione di abitazioni addossate alle precedenti. Le unità immobiliari erano delle schiere ortogonali alle curve di livello, avevano uno o due livelli a monte e tre a valle. Il livello più basso, non accessibile dall’abitazione era adibito a stalla. Con la ricostruzione post-terremoto 1703 l’isolato è stato stravolto. Dalle schiere passiamo ad una sequenza di palazzetti. Questa nuova situazione fa supporre che l’isolato sia stato fortemente danneggiato tanto da alimentare le mire delle famiglie più ricche, che potevano a buon mercato acquistare le case dirute. Altro particolare non trascurabile è l’esposizione dell’isolato, il versante sud-ovest. I palazzetti si estendono da Via San Pasquale alle mura, sono costituiti da due elementi di fabbrica paralleli, le case a schiera su via San Pasquale e dalle case muro, unite dalle case ad arco. Da questa conformazione si evince che i palazzetti sono ottenuti dalla composizione dei tipi edilizi presenti nel borgo che, pur essendo stati introdotti in epoche diverse conferiscono omogeneità all’insieme. Possiamo leggere nel nuovo tessuto dell’isolato anche le diverse funzioni statiche dei tipi edilizi, le case muro e le case a schiera costituiscono le strutture portanti, che vengono controventate dalle case ad arco. I palazzetti si sviluppano su due livelli, il piano nobile con ingresso da via San Pasquale, e il livello più basso accessibile da valle con locali adibiti a stalla o magazzini. Con la ricostruzione abbiamo l’introduzione del barocco, soprattutto nelle decorazioni delle chiese, che pur mantenendo l’impianto di tipo medioevale presentano la decorazione nel nuovo stile, come ad esempio San Sebastiano. Per quanto riguarda il Palazzo baronale supponiamo che l’attuale stato derivi dalla ricostruzione, sia come stile architettonico che come volumetria. L’assetto di Navelli rimarrà tale sino l’Unità d’Italia, dopo di che si ha la definitiva uscita dalle mura con lo spostamento del baricentro dell’abitato verso valle, favorito dal passaggio del nuovo sistema viario nazionale. Nel 1817 , come attestato da generali del Regno Borbonico presenti nel territorio abruzzese, non esistevano delle strade carrozzabili, quindi i collegamenti erano piuttosto difficoltosi soprattutto nel periodo invernale. L’unica via di comunicazione era il tratturo L’Aquila–Foggia, percorso mantenuto in buone condizioni perché garantiva al Regno rendite fiscali elevate data la pratica della transumanza. Nel periodo preunitario i Borboni costruirono delle strade carrozzabili e abolirono il pedaggio da parte dei proprietari dei fondi attraversati. Tra queste strade carrozzabili vi era anche il tratto Popoli–L’Aquila. Con l’affermazione del nuovo sistema viario abbiamo la definitiva uscita del centro dalle mura, infatti nel periodo preunitario possiamo far risalire l’inizio della costruzione dei palazzetti sul versante sud-ovest, e con essi numerose costruzioni di minor importanza. Lo sviluppo delle comunicazioni si è avuto dopo l’Unità d’Italia, infatti sono stati finanziati numerosi lavori di manutenzione. Molti di questi sono stati effettuati sulla via degli Abruzzi che rimaneva un caposaldo della viabilità dell’Italia centrale. Sulle strade di comunicazione si spostarono gli interessi della popolazione perché garantivano la commercializzazione dei beni prodotti con i viaggiatori. Questo fenomeno di migrazione verso valle investì anche Navelli. In un disegno del 1868, sulla disputa territoriale tra i Comuni di Navelli e Collepietro, è riportato uno schema dell’abitato di Navelli dal quale possiamo trarre la propensione che ha il centro verso la valle. Nel disegno riusciamo a leggere il nucleo originario denso e lo sfilacciamento verso valle. Sulla strada Regìa abbiamo un’osteria che viene citata anche dal Mariani. I centri montani abruzzesi furono investiti da una profonda crisi economica dovuta all’affrancamento dei pascoli nel Tavoliere Pugliese. La mano d’opera persa dalla pastorizia si riversò nell’agricoltura, ma, data la bassa produttività delle terre pedemontane, non era possibile soddisfare il fabbisogno richiesto. Questi eventi hanno portato alla migrazione di parte della popolazione verso luoghi dove si potevano svolgere lavori stagionali. Anche i pascoli non più utilizzati vennero adibiti ad uso agricolo. Con l’aumentare della crisi, a fine ottocento inizi del novecento, si hanno le prime migrazioni verso paesi lontani. Il fenomeno migratorio finì per portare dei vantaggi dovuti al reinvestimento nel paese d’origine delle rendite percepite nei luoghi di lavoro. I capitali erano utilizzati per l’acquisto o la ristrutturazione delle abitazioni oppure per acquistare del terreno da coltivare una volta rientrati nel centro. In un documento del 1885, si attesta che le costruzioni all’interno delle mura erano in stato fatiscente, per tale motivo il Comune di Navelli richiedeva alla Provincia la nomina di un ingegnere che potesse sovrintendere ad un progetto di recupero di questa parte del centro. Questo documento ci mostra come l’abbandono del centro non è relativo al dopo Seconda Guerra mondiale ma è iniziato alla fine del secolo scorso. Le opere importanti che vengono realizzate prima della Prima Guerra Mondiale riguardano la dotazione del centro di infrastrutture occorrenti al miglioramento delle condizioni di vita. All’inizio del secolo Navelli fu dotata di acquedotto. La cisterna è stata costruita nella Contrada di Piceggia Piccola. Quest’opera prevedeva la dotazione di fontanini in ghisa, ancora oggi esistenti che recano la data del 1901, e la realizzazione di una fontana nella nuova piazza del paese a valle denominata Piazza San Pelino. Il progetto è stato redatto dall’ing. Civile Giuseppe Inverardi. La cisterna è costituita da un edificio che spicca nell’impianto urbano perché è l’unico realizzato con mattoni a faccia vista. Presenta una pianta rettangolare sormontata da colonnine merlate. Tra le due guerre il centro non subisce dei cambiamenti importanti. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale si ha un notevole flusso migratorio che porterà allo spopolamento del centro, tale fenomeno avrà riflessi sulle abitazioni che saranno abbandonate e pertanto lasciate al loro destino. Sommando l’ulteriore spostamento a valle della popolazione dovuto principalmente alla non rispondenza del centro storico alle esigenze di vivibilità dei nostri giorni, abbiamo un quadro completo delle condizioni precarie attuali del nucleo più antico. Scopo di un piano di recupero è quello di ridare qualità di vita al centro più antico del borgo, dotandolo di infrastrutture, servizi e tutto quanto necessità per creare quelle condizioni di vivibilità che l’uomo moderno oggi richiede.

 Grazie alla prof.ssa Rosalba Scirè

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